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      Riflessioni a caldo sulla “La Classe Operaia Va In Paradiso”

      All we hear is radio ga ga
      Radio goo goo
      Radio ga ga
      All we hear is radio ga ga
      Radio goo goo
      Radio ga ga
      All we hear is radio ga ga
      Radio blah blah
      Radio, what’s new?
      Someone still loves you

      Mi sveglio con in testa il ritornello di “Radio Gaga” dei mitici Queen. La voce di Freddie Mercury mi riporta subito alle riflessioni a caldo scambiate insieme ai miei compagni GAIS dopo aver visto “La Classe Operaia va in Paradiso” e alla conversazione sullo spettacolo che ho avuto il pomeriggio precedente con la Sig.ra Ginni Gibboni.

      Probabilmente vi starete domandando il motivo della mia associazione tra “Radio Gaga” e Lulù Massa, il protagonista operaio di “La Classe Operaia va in Paradiso” che perde un dito mentre lavora…abbiate pazienza perché ve lo spiegherò più avanti…

      La notte appena trascorsa non mi ha ancora chiarito completamente le idee sullo spettacolo che ho visto, la mia mente è avvolta da un vortice di pensieri e tra questi spicca una delle immagini che la Signora Ginni mi ha tratteggiato della “Classe Operaia va in Paradiso”:

      Il modo in cui Lino Guanciale traccia il suo personaggio fa pensare ad un disegno realizzato con un pennarello a punta molto spessa.

      Non si può certo affermare che la storia di Lulù Massa, il protagonista della Classe Operaia va in Paradiso, sia semplice e leggera. È una storia dettata da un ritmo incessante e una delle caratteristiche principali è l’esacerbazione dei caratteri dei personaggi, un aspetto presente sia nel film omonimo sia nello spettacolo teatrale.

      Durante la conversazione con la Signora Ginni mi colpisce il fatto che utilizzi più volte per descrivere lo spettacolo le parole “sovrabbondanza” e “didascalico”. Questi termini si addicono anche alla mia personale immagine dello spettacolo in generale, ma prima di dire la mia le lascio la parola:

      […] la sovrabbondanza di situazioni impedisce allo spettatore di farsi assorbire dal racconto che presenta troppi piani: il film, la storia rappresentata, la storia del regista e dello sceneggiatore, le spiegazioni fuori scena. […] il regista sembra non saper decidere tra il dare per scontato che chi vede lo spettacolo abbia visto il film e il far capire, a chi il film non lo ha visto, cosa sta cercando di dire.
      […] La classe operaia va in paradiso” è fortemente didascalico […] ero infastidita dalla scelta di spiegare al pubblico quello che stava vedendo con l’ausilio di un narratore (canterino) che privava la storia della sua indipendenza e ne sottolineava i limiti.

      Che aggiungere? Il mio disegno è molto simile a quello tratteggiato da Ginni Gibbone. Cerco di spiegarmi meglio, per farvi capire le mie riflessioni e opinioni generali.

      Quando entro in un museo o vado a visitare una mostra, mi lascio guidare dagli istinti e dalle sensazioni che provo di fronte all’opera d’arte che sto ammirando e non voglio avere nessun filtro, nessuna interferenza. Quando sono teatro la situazione non cambia. Mi piace lasciarmi trasportare dalla storia e trarre a fine spettacolo delle considerazioni. Questa volta non mi sono sentita trasportare completamente nel flusso della storia e credo che questo sia stato dovuto al ricorso didascalico che menzionava la Sig.ra Ginni. Infatti la necessità di presentare diverse reazioni al film di ipotetici spettatori mi hanno distratta, così come il dover esplicitare frequentemente le scelte che hanno portato il regista Elio Petri e lo sceneggiatore e scrittore Ugo Pirro alla creazione del film stesso.

      Nonostante queste criticità che sono del tutto personali sia io che la Sig.ra Ginni siamo riuscite ad immedesimarci almeno in alcune scene dello spettacolo come “quando Lulù perde il dito e hai la sensazione di assistere e partecipare ad una disgrazia” o di quando “Lulù, avvolto dalla nebbia, scorge le figure dei suoi colleghi di fabbrica”.

      Una riflessione post spettacolo che mi piacerebbe citare è quella di Caterina, anche lei è una Gais, che mi ha regalato una spiegazione interessante al mio scarso coinvolgimento emotivo provato per buona parte dello spettacolo.

      Forse è voluto il fatto che si provi quasi una sensazione di indifferenza perché ormai siamo abituati a vivere queste situazioni.

      Questa potrebbe essere una intrigante chiave di lettura dello spettacolo e se ripenso alle parole pronunciate da Lino Guanciale (Lulù Massa) durante l’incontro che si inserisce nel ciclo “I pensieri delle Parole” organizzato dal Teatro Nazionale, in effetti il mio cervello inizia a mettere in ordine quel vortice di pensieri e immagini apparentemente confusionarie e ora comprendo perché questa mattina mi sono svegliata con in testa le parole e le note di “Radio Gaga”.

      Per Guanciale questa trasposizione teatrale è da considerarsi come un’opera multistrato e secondo lui essa può suscitare due tipi di reazione molto diverse nel pubblico. Da una parte lo spettatore potrebbe avere una reazione <<devastantemente forte soprattutto se ha visto pochi spettacoli teatrali nella propria vita >> [mmmh, Lino non sono molto d’accordo con questa affermazione, ma la rispetto] o potrebbe considerare <<avvincente lo spettacolo proprio per la grande varietà di livelli toccati>>. Ma quello che mi è rimasto dentro la testa dell’incontro sono le considerazioni e le motivazioni che hanno portato Guanciale e Claudio Longhi, regista dello spettacolo, alla messa in scena de “La classe operaia va in Paradiso”, ecco cosa ha detto a riguardo Guanciale:

      Quando ho proposto La classe operaia va in Paradiso, avevo in testa le sequenze del film che mi avevano più colpito, che in realtà sono le sequenze domestiche, cioè quelle in cui le famiglie, ritratte nei loro interni, sono inquadrate come ipnotizzate dal televisore, attraverso questa luce azzurrina che un po’ li ipnotizza, un po’ li opacizza e veicola questo messaggio: l’alienazione del protagonista non è solo sua, ma in realtà riguarda tutti i personaggi del film […] L’altro aspetto di fascinazione è come il paradiso viene trattato, è una nebbia, un sogno, un luogo che proviene da un’altra dimensione. Non si riesce a vedere bene ma alla fine Lulù, il protagonista della storia, vede tra la nebbia tutti i suoi compagni lavoratori. È un qualcosa da costruire insieme, ci si aspetta di essere una comunità che riesce a superare le difficoltà dopo aver unito le proprie forze.

      Per Claudio Longhi, invece, la motivazione risiede nella funzione sociale del teatro.

      Il teatro è un dispositivo nelle mani di una comunità che permette alle persone di riflettere sui problemi che li affliggono per poterli oggettivarli e valutarli dall’esterno.

      Queste risposte mi riportano nuovamente alla mente la conversazione con la Signora Ginni, quando abbiamo parlato del rapporto tra il teatro e le scuole e ritengo che per i ragazzi andare a teatro equivalga a proporre loro un buon libro. Il teatro offre una varietà di insegnamenti a cui attingere e ti permettere di riflettere su questioni e situazioni che magari stai vivendo e ti offre l’occasione per prendere la distanza da quelle in modo da rifletterci in maniera più distaccata e oggettiva.

      In conclusione, non se andrei a rivedere “La Classe Operaia va in Paradiso” ma mi sentirei di consigliarlo ugualmente ad un ragazzo interessato a questo tipo di tematiche. Infatti, dopo la visione dello spettacolo mi è rimasta sia la volontà di voler approfondire questi argomenti legati al mondo lavoro sia la determinazione di investire, in qualità di Gais e di spettatrice, nella funzione sociale che ricopre il teatro.


      E quindi cosa c’entrano i Queen con tutto questo?

      Avete mai visto il video di Radio Gaga?

      Beh, ci sono delle immagini tratte dal film “Metropolis” che raffigurano code interminabili di operai alienati che si affrettano ad entrare in fabbrica per lavorare… insomma è la stessa routine quotidiana di Lulù Massa e dei suoi compagni.

      Se per Lulù il paradiso era un qualcosa di indefinito ma da costruire insieme ai suoi colleghi operai, sono fermamente convinta che il modo migliore per creare il proprio paradiso sulla terra sia quello di circondarsi dalle persone giuste e fare gruppo, o ancora meglio costruire insieme una comunità che sia un punto di riferimento per tutta la vita. Dopo tutto credo abbia sempre ragione Freddie Mercury quando cantava che “someone still loves you”.

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      redazione
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