Edipo: Io contagio
‘Figli miei, siate certi che conosco bene quello che vi ha spinto qui, conosco i vostri desideri. So bene quanto state soffrendo, eppure non uno di voi soffre quanto soffro io’
Nella dolorosa solitudine alla quale siamo incatenati, ancora una volta il Teatro ci libera da noi stessi, cristallizzandosi nel primo dei suoi valori: la resilienza
‘….Ma sarò io a scoprirlo, ricominciando dal principio.’
Venti attori e danzatori, partecipanti alla call indetta dal teatro ed uno spazio, le fondamenta di Palazzo Ducale. Null’altro, per ritornare alle proprie origini: destinazione del viaggio sarà l’Edipo di Sofocle, paradigma della società occidentale.
Edipo, re di una Tebe malata a causa sua. Edipo eterno castigato dall’ira divina, cieco al punto da non riconoscere l’incesto. Edipo, maledizione che cammina, l’inconsolabile.
La nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova stravolge sé stessa. Lontani da una nota verticalità, Edipo, Io contagio è un invito a perdersi, nel labirinto dell’orizzontale.
Muovendoci nello spazio espositivo di Palazzo Ducale, diveniamo attori noi stessi, plasmando a nostro piacimento la materia teatrale che fluisce rosso carminio da ogni muro.
Al centro, lo spettatore. Demiurghi, partecipi alla tragedia del quotidiano, cerchiamo di sfuggire al contagio. Ma è troppo tardi.

“Scia di sangue vivo, seguimi.
Mi senti?
La mia carne ciondola.
Io sono.
Sono urla silenziose su mura imbiancate, cavalli stramazzati.
Sono vestiti smessi, rancore bianco sul pavimento.
Io sono Edipo.
Io contagio.”
Foto Eva Olcese