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      Elena: una distesa di acqua, magnificenza e innovazione.

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      Finalmente, dopo trepidante attesa, riapre la stagione del Teatro Nazionale di Genova, lanciata da uno spettacolo che tutti aspettavamo con ansia e letteralmente divorati da aspettativa e curiosità: Elena, di Euripide. Quale modo migliore di aprire una nuova stagione teatrale se non con uno dei maggiori testi di uno dei tre padri dell’antica tragedia greca? E allora entusiasmo alle stelle per noi cultori del teatro classico, mi ci metto anch’io, che hanno la possibilità di fare un salto nel passato sedendosi comodamente sulla poltrona del Teatro Stabile della propria città.  

        E invece…? E invece la regia di Livermore riesce ad avere poco o nulla di classico pur mettendo in scena un grande classico. Il nostro Direttore rivoluzionario e fuori dagli schemi è riuscito a fare anche questo. Elena infatti gioca molto sullo stupore da suscitare nello spettatore, sulla maestosità e grandiosità di tutto quanto. In primis tra tutto la scenografia: un’enorme distesa d’acqua che copre tutto il palcoscenico. Avreste mai detto di poter vedere, nel teatro della vostra città, attori che camminano con l’acqua alle caviglie, una poltrona semovente sul pelo dell’acqua, una nave naufragata a centro palco circondata da acqua che non bisogna fare lo sforzo di immaginare? Beh, questo è stato reso possibile. L’impatto visivo viene destato anche dalle parti corali, allo stesso tempo classiche e non classiche. Classiche perché il Coro ha avuto lo stesso spazio e la stessa importanza che gli veniva data ai tempi dell’antichità, non classico perché le coreografie e le atmosfere create sono state nuovamente realizzate apposta per meravigliare lo spettatore, talvolta confondendolo anche un po’. Ricorrente questa intenzione anche nella scelta dei costumi di alcuni interpreti, di alcune musiche di sottofondo, di caratterizzazioni di alcuni personaggi.  

        C’è una sovrabbondanza di elementi in quest’Elena, talvolta al limite della ridondanza (si pensi ad esempio al monitor onnipresente e raffigurante immagini e video di Elena, prima giovane e poi anziana, prima ridente e poi piangente, etc.). Non sono presenti momenti di religioso silenzio, di semplicità scenica ma di estrema tragicità e pathos nell’interpretazione, non si trova quindi, in Elena, l’antica solennità tipica della tragedia greca. Si trova senz’altro però lo stupore, la magnificenza, l’ammirazione, l’incanto. Non si riesce a staccare lo sguardo neanche per un secondo.  

        Certo, noi puristi rimaniamo scettici dinnanzi all’assenza quasi totale di classicità in un testo classico. D’altro canto, però, è ora di allargare il pubblico del teatro e far spazio sulle nostre poltrone anche a spettatori di altro tipo. E, in tal senso, uno spettacolo come Elena risulta tutto tranne che elitario.  

        Anna Panarello

        Ph. by Federico Pitto

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        Anna Panarello
        Anna Panarello

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