Dopo un momento tremendo dove il teatro era diventato lotta tra gladiatori o combattimenti fra animali, durante il Medioevo il teatro ricominciò a prendere forma dentro le chiese e in mezzo alla liturgia.
Questo fa un po’ sorridere dato che proprio la Chiesa circa 400 anni prima, aveva ostacolato in tutti i modi il teatro, denigrando attori e performer additandoli come induttori al peccato, ma diamo a Cesare quel che è di Cesare, ringraziamo sentitamente i religiosi cristiani e raccontiamo di quella volta in cui una donna religiosa di un convento sassone del X secolo, decise di studiare Terenzio. Chissà cosa passò per la testa di questa monaca quando decise di scrivere di suo pugno, un componimento in linea con quelli terenziani creando una sorta di ode alle vergini, facendo così partire la prima tesserina di un lento domino di eventi.
La seconda tessera del domino fu mossa in un monastero svizzero, dove un chierico si inventò il Quem quaeritis, un tropo (una breve e facile sequenza di versi) dal quale discendono i primi drammi liturgici letti da chierici e frati durante le funzioni religiose o in momenti prestabiliti. Così i cristiani riscoprirono la bellezza di rappresentare storie, partendo dal candido angelo che chiede alle Marie in cerca del corpo di cristo “Chi cercate?”, dando così vita ad una nuova primitiva forma di drammaturgia.

Terza tesserina del domino furono i Misteri: grandi eventi a cui tutti i cittadini assistevano liberamente, potevano durare a lungo ed essere molto complessi, impegnando gli organizzatori per mesi. La curiosità che caratterizza i misteri è la simultaneità delle vicende raccontate: immaginatevi tante postazioni (mansiones) ordinatamente disposte in una piazza dove vi è un punto prestabilito per ogni diversa vicenda da seguire, seguendo un ordine che creava una linea episodica detta anche dramma a stazioni. Le tematiche erano quasi sempre racconti biblici o storie sulla vita dei santi e nel corso del tempo cominciarono a rendersi necessari trucchi o invenzioni ben strutturate, per rendere possibile quello che effettivamente possibile non è, come sparizioni e apparizioni che richiesero un’inventiva notevole e portarono gli organizzatori a specializzarsi nei costumi e nelle arti sceniche. Queste manifestazioni che in Europa venivano ancora organizzate da confraternite legate alla chiesa, in Inghilterra erano passate alle abili mani di artigiani delle gilde dei vari mestieri, diventando così un vero e proprio evento commerciale dove poter mostrare le proprie capacità e la propria merce.
In Italia come al solito volevamo fare le cose in grande, già nel 1439 grazie a quel geniaccio di Filippo Brunelleschi (e al fatto che a noi la struttura episodica non piaceva e quindi creavamo le rappresentazioni direttamente in chiesa) venne reso possibile un vero e proprio “Volo dell’angelo” in mezzo alla navata di una chiesa fiorentina. Insomma, chiesa o non chiesa i popoli medievali ci avevano preso gusto e quindi, passando per rappresentazioni su carri mobili ed a sempre più chiare figure organizzative all’interno delle manifestazioni, iniziarono a pensare di introdurre platealmente anche tematiche profane o meglio, storie profane dalla morale ancora ben radicata nella chiesa.
Quarta tesserina del domino furono i Morality Plays, un vero e proprio genere inglese che vedeva personificarsi qualità astratte come la Carità, l’Avarizia (tutti ci ricordiamo del buon Scrooge ne “Lo spirito del natale”) e l’onnipresente Vizio. Questo passaggio dal sacro al profano, mantenendo pur sempre una morale ben chiara, sancì l’ingresso di personaggi tangibili e non più santi o personaggi sacri, uomini semplici in balia di cose più terrene, più vicini al pubblico che li seguiva.
Nello stesso periodo si stavano delineando sempre di più le mansioni all’interno dell’organizzazione e una professionalizzazione si faceva strada come nuovo “mestiere”, marcando così l’ormai presente passaggio dal teatro religioso a quello profano.
Non mi sono dimenticata, l’ultima tesserina di questo teatro medievale è ovviamente lui: l’iconico, irriverente, cartonesco giullare. Il giullare ha dentro il suo nome una vasta gamma di intrattenitori e performer, tra quali giocolieri, prestigiatori, danzatori, ammaestratori di animali, cantastorie e suonatori, i giullari quasi mai interpretavano un personaggio, erano più impegnati a sbalordire con le proprie abilità, con il linguaggio del corpo e con i loro trucchi il pubblico che si trovavano davanti. La considerazione generale sul loro conto era ovviamente negativa, mal visti dalla chiesa furono ripetutamente condannati e menzionati da ogni tipo di personalità ecclesiastica. Poco dopo iniziarono a fare parte della servitù di corte beneficiando della simpatia dei loro padroni e godendo, in qualche caso, di uno stipendio fisso e di una particolare licenza che permetteva loro (all’interno della performance) di mancare di rispetto ai padroni. Entrarono nell’immaginario collettivo per un paio di strumenti che ancora oggi ci portano con il pensiero all’immagine del giullare: il cappello con le orecchie da asino e la Marotte, il bastone con i sonagli.

Ah, mi sembra giusto ricordare a tutti voi che le “feste dei folli” (Il gobbo di Notredame lo ricordiamo bene) sono realmente esistite e che è storicamente corretto vedere l’ultimo anello della catena alimentare della chiesa essere sbeffeggiato pubblicamente da giullari e persone travestite in maniera carnevalesca, a quanto pare si divertivano così!