Il rinascimento italiano è stato un momento florido, rigoglioso di cultura e pieno di innovazione.
Immaginatevi un agglomerato di ducati e principati che si battono a colpi di cultura<Io ho l’architettura migliore!> <Eh ma io ho i letterati migliori!> <Nel mio ducato siamo fiera della nostra accademia!> fa sorridere, ma leggermente vezzeggiata l’atmosfera era questa. Nasceva la stampa in Germania? E via a stampare tutti i libri arrivati dalla biblioteca di Costantinopoli, via a scrivere trattati umanistici, tecnici e a pubblicare il primo vocabolario della Crusca (che ancora non poteva immaginare la parola “petaloso”).
Questo clima di fibrillazione culturale divenne determinante per lo sviluppo del teatro, infatti grazie alle commedie pervenute di Terenzio e Plauto gli scrittori dell’epoca si cimentarono nella loro traduzione e nella stesure di commedie nuove ispirate ai testi antichi: parliamo delle opere di Ariosto o del Bernardo Dovizi di Bibbiena che venivano spesso messe in scena nelle accademie.
Giardino di Lorenzo de’ Medici
Nasce così il professionismo del teatro, dove le compagnie nascenti potevano contare sulla suddivisione delle paghe e su un minimo di presa in considerazione dalle autorità cittadine, che permettevano loro l’affitto di stanzoni municipali per andare in scena. Ben presto però le compagnie capirono che la cosa più conveniente per avere una sicurezza di guadagno era cercare un nobile protettore, quindi appena dopo la nascita del professionismo teatrale nasce una sorta di mecenatismo della commedia dell’arte e ben presto le compagnie divennero la vera attrazione dei banchetti nelle corti e l’intrattenimento più bello alle cerimonie.
Ma cosa si intende per Commedia dell’arte?
Storie, intrecci spesso simili, situazioni comiche, situazioni licenziose , beffe a danno di qualche vecchio burbero, un servo un padrone e innamorati ostacolati che poi trovano il modo di stare insieme….
Ma chi sono i protagonisti di questi racconti?
Ebbene troverete sempre: due giovani innamorati, uno zanni sciocco (Arlecchino) e uno Zanni furbo (Brighella), il padrone (Pantalone) e qualche comparsa per arricchire il tutto (Colombina)!

Tutti questi personaggi sono comunemente definiti tipi fissi, ovvero personaggi con caratteristiche che rimanevano immutate nonostante cambiasse lo spettacolo, il nome o qualche altro dettaglio. Non è quindi Arlecchino il primo servo sciocco e nemmeno l’ultimo perché a seconda della commedia potevamo trovare Scaramuccia (che poi si evolverà in Scaramouche arrivando in Francia), Mezzettino, Francatrippa e Pulcinella.
Anche il padrone Pantalone aveva dei simili: potevamo trovare Il Capitano che poteva essere spagnolo o napoletano (creato ispirandosi ad una commedia di Plauto) e Il Dottore bolognese caratterizzato dal latino maccheronico. Solitamente tutti i tipi fissi erano caratterizzati da un dialetto preciso, spesso veneziano o bergamasco ma non solo.
I personaggi comici utilizzavano delle maschere a mezzo volto per avere la possibilità di esagerare gestualità ed espressioni, mentre i personaggi più seri come gli innamorati non portavano maschere e diversamente dai comici utilizzavano un linguaggio più aulico e forbito.
La preparazione di queste commedie non era quindi cosa semplice, gli attori si preparavano sui canovacci (quindi fogli senza battute e senza didascalie) che li aiutavano sulla scena a creare un’improvvisazione, lavorando tutti insieme per inventare battute e lazzi che potevano usare durante le diverse rappresentazioni.
Chi preparava i personaggi degli innamorati leggeva invece gli zibaldoni, raccolte di testi che servivano a trovare frasi, modi di esprimersi più eleganti e che davano loro spunto per creare scenette amorose; insomma, per riassumere, la bellezza della Commedia dell’arte girava intorno agli stessi tipi di personaggi, con più o meno gli stessi intrecci, ragionati e improvvisati in modi diversi.

E qui uno si può chiedere: e di Arlecchino non si parla?
Anche se riassumere la Commedia dell’arte in poche righe è già di per se un’impresa, è necessario spendere almeno due parole sulla maschera più famosa del mondo: Arlecchino..!
Anche se non si può dare un nome preciso al suo inventore, con molta probabilità possiamo dire che fu Tristano Martinelli, attore comico e acrobata vicinissimo alla tradizione giullaresca che integrò alla figura dello zanni le acrobazie.
Ci sono diverse ipotesi sulla creazione di questo personaggio, la più amata dal pubblico è sicuramente quella che vede il nostro Arlecchino come un diavolo poco furbo venuto dall’inferno a seminare il caos sulla terra.

Ancora oggi oltre a trovarsi insieme al compagno Partenopeo Pulcinella su innumerevoli magneti nelle case italiane e non, possiamo trovare Arlecchino in scena con il maestro Enrico Bonavera, che dopo esser stato allievo di Ferruccio Soleri (storico Arlecchino ne “Il servo di due padroni” di Strehler) ne ha preso il posto nel 2019. Se l’ipotesi dell’Arlecchino diavolo vi avesse particolarmente ispirati vi avverto: potete trovare la sua storia a teatro, in giro per l’Italia sempre a cura di Enrico Bonavera con il suo spettacolo Alichin di Malebolge.