In questo spettacolo vediamo una delle più importanti opere di Shakespeare trasformarsi in una potente danza accompagnata dalle musiche di Giuliano Sangiorgi.
Togliere da un’opera come “Tempesta” la dimensione prosastica è una scelta molto ardita e una sfida: questo testo in particolare ha un valore assoluto nella produzione dell’autore in quanto si tratta della sua ultima opera, del suo testamento spirituale.
La domanda sorge spontanea: come raccontare una storia senza utilizzare parole?
L’immagine con cui si apre lo spettacolo viene trasmessa da uno schermo in bianco e nero che rappresenta due ragazzini che giocano alla lotta per impossessarsi di una corona scintillante che nelle forme ricorda il Duomo di Milano. La vicenda viene vista come se si trattasse di un ricordo lontano, un ricordo felice al quale ora si guarda con malinconia e che lentamente va a sparire. I due bambini rimandano alle figure di Prospero e Antonio che ci appaiono in scena appena termina il video, ormai adulti e intenti a continuare lo stesso gioco del filmato che però ora esprime diverse sfumature.
“Tempesta” è la storia di questi due fratelli, dell’esilio di Prospero e della figlia Miranda su un’isola sconosciuta, del rapporto che questi instaurano con l’abitante dell’isola: Calibano, un nome che in realtà da corpo a una tribù che nelle movenze e nei costumi ricorda le tribù aborigene australiane. E’ una storia in cui la magia è molto presente e viene usata sia per fare del bene che per lanciare sortilegi di vendetta.
Il giovane coreografo Giacomo Spota, il drammaturgo Pasquale Pastino e i danzatori di Aterballetto hanno interpretato la grandezza di questo classico in un modo innovativo, riuscendo con la sola forza dei gesti a comunicare e a instaurare dialoghi tra i personaggi.
In nessuno dei quadri in cui è suddiviso lo spettacolo viene detta una parola, eppure i ballerini con la forza dei loro corpi e l’espressione del movimento sono riusciti a rendere visibile tutto ciò che nel testo viene solo detto, ma non visto. I dialoghi prendono vita dai gesti dei danzatori che sembrano essere in balia di una tempesta incessante, rincorrendo una felicità che forse non viene mai realmente raggiunta.
La scena si muove in sintonia con i movimenti dei danzatori e dietro alla sua semplicità si rivela una volontà evocativa forte, data dal fatto che non solo fa da sfondo al racconto, ma diventa essa stessa parte integrante dell’opera muovendosi e mutando a ogni cambio scena.
Una chiave di lettura così innovativa ha permesso di guardare all’opera di Shakespeare con occhi nuovi, delineando uno spettacolo giovane, grintoso e commovente in cui musica, scenografia e danzatori diventano un tutt’uno in un meraviglioso quadro in movimento, capace di accendere in spettatori di ogni età forti emozioni.
Giulia Sambuceti